Studio

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Essere avvocato

Dire sono avvocato significa dire " ho dedicato la mia vita al diritto ", lo stesso diritto che ho visto calpestato ed umiliato dentro e fuori le aule giudiziarie. Il diritto che spesso è inteso come strumento di attuazione del potere. Questo concetto applicato al diritto di famiglia può far capire come in questi casi quanto sia squallido l'abuso di potere.
Piegato su me stesso, ma mai vinto, con umiltà e dedizione ho cercato di far si che il giusto , ossia l'applicazione della giustizia, corrispondesse all'equità.
Non è stato mai facile, ed anzi più passa il tempo, e più mi rendo conto che il mio sogno di ragazzo nel quale vedevo realizzarsi la giustizia intesa come equanimità, in effetti è solo un illusione, che si scontra con la natura umana, di per sé immutabile.
L'evoluzione della società si traduce in una effimera civiltà, perché, a ben riflettere, nulla è cambiato se non in peggio dall'attenta analisi di Blaise Pascal “È giusto che si segua ciò che è giusto; è necessario che si segua ciò che è più forte. La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica. La giustizia senza la forza è contraddetta, perchè ci sono sempre dei malvagi; la forza senza la giustizia è messa in accusa. Bisogna dunque unire la giustizia e la forza; e perciò bisogna far sì che ciò che è giusto sia forte e ciò che è forte sia giusto. La giustizia è soggetta a discussione, la forza è molto riconosciuta e indiscussa. Così non si è potuto dare la forza alla giustizia perchè la forza ha contraddetto la giustizia e ha affermato che solo lei era giusta. E così, non potendo ottenere che ciò che è giusto sia forte, si è fatto sì che ciò che è forte sia giusto"
Capirete perché mi sembra di stare su una barca che vacilla, continuando a remare controcorrente, spinto nella costante ricerca della verità, cercando di far si che il giusto corrisponda all'equo. Quando poi nel mio mandato mi imbatto nella difesa dei minori o disabili, se la mia etica si scontra con le esigenze del mio assistito, prevale su queste tanto da indurmi a rimettere il mandato, se non ascoltato .... detto questo aggiungo che è gradita la partecipazione a questo blog, che null'altro vuole essere che la porta di ingresso alla mia officina. Così chiamo il mio "studio" ossia non il luogo materiale dove lavoro, bensì il luogo dove la mia conoscenza del diritto è in costante evoluzione, perché attraverso il mio studio e la mia esperienza, si rinnova, si amplia e sia apre a nuove prospettive: questa è la mia "Officina del Diritto" spazio che vi offro attraverso la mia e-mail
studiolegalelafarina@libero.it . Le vostre indicazioni, critiche, scritti e comunque i vostri apporti saranno fedelmente riportati nella pagina della " Tavola Rotonda" pagina appositamente creata in questo blog per poterci confrontare

Quotidiano della Pubblica Ammimnistrazione

domenica 23 novembre 2014

sulla mediazione famigliare internazionale

Faccio mia una interessante pubblicazione  del "Il SOLE 24ORE"


2.   OSSERVATORIO SULLA MEDIAZIONE
3. Mediazione famigliare: un caso di "separazione internazionale"
4.     Massimo Silvano Galli, Pedagogista e Teresa Laviola, Avvocato | 31 ottobre 2014
5.      
Nei nostri precedenti articoli abbiamo osservato come il conflitto possa assumere diverse sfumature, sia in ordine alla sua escalation, che per le persone che coinvolge, sia alle conseguenze in cui involve o evolve. Talvolta, se gestito adeguatamente, può portare ad un cambio di identità esistenziale in ordine ai valori, agli affetti, allo stile di vita; altre volte può invece portare alla distruzione della vita di più persone intessute e plasmate da dinamiche familiari "perverse", dove i bisogni del minore vengono calpestati in nome di una reciproca vendetta.
Per proseguire in questa riflessione, vogliamo ora esaminare un caso in cui si evince l'evoluzione del conflitto di due compagni ormai legati esclusivamente da una figlia in tenera età, partendo dal presupposto che non è compito della mediazione cercare il bene o il male, la verità o la colpa, ma accompagnare le parti a scegliere a volte un bene maggiore, altre volte un male minore.
E così che un padre è arrivato in studio volendo sporgere denuncia nei confronti della compagna che, partita per un paese extraeuropeo, decideva di non tornare in Italia, rendendosi altresì irreperibile e lasciando la minore al padre. Poteva configurarsi l'ipotesi delittuosa dell'abbandono di minore e, se avessimo voluto farci portavoci della rabbia del padre, avremmo sporto denuncia e chiesto la decadenza della responsabilità genitoriale. Decidemmo, invece, di provare a intraprendere una mediazione, con il presupposto che, se tale opportunità non fosse andata ad effetto, avremmo adito l'autorità giudiziaria competente.
La prima parte del percorso si svolse in seduta individuale con il padre, nel tentativo di trasformare il suo desiderio di vendetta nella possibilità di collaborare con la ex-compagna, per garantire il benessere e i bisogni della bambina. Il mediatore aiuta, in effetti, le parti a erigere ponti, a scavalcare muri e a "costruire altrove", in un luogo in cui i bisogni di ognuno trovino risorse.
L'uomo rimase spiazzato e, inizialmente, diffidente rispetto alle prospettive che gli si proponevano: uno sforzo affettivo e pragmatico per mettersi, anzitutto, in contatto con la madre della bambina. Superando l'umiliazione dell'abbandono, il padre doveva uscire da sé per andare verso l'altro: la figlia e la madre. I contatti con la stessa furono effettivamente complessi ma, alla fine, approfittando di un suo rientro in Italia, fu possibile programmare un incontro congiunto.
L'idea della madre era di portare con se la bambina all'estero, la quale però ormai, vivendo con il padre, aveva intessuto tutta una serie di contatti e legami nella scuola e nelle amicizie. Inoltre, il padre aveva un lavoro stabile in Italia, con una serie di relazioni parentali in grado di aiutarlo nella cura e nella gestione della minore; mentre, la madre, sembrava vivere in una situazione di maggiore precarietà, con il sogno di realizzarsi in un contesto ancora tutto da definire.
Essere genitore è un evento naturale che si configura nel momento in cui, ovviamente si concepisce un figlio; fare il genitore è, invece, tutt'altra cosa, e non è raro che in una situazione di separazione si presentino condizioni nelle quali uno o entrambi i genitori tendano ad abdicare al loro ruolo. E' proprio in questi casi che la figura "super partes" del mediatore prende una parte precisa: quella del minore di cui cerca di farsi carico personalmente per tutelarlo. Questo è il caso di specie.
Attraverso adeguate tecniche e opportune strategie proprie della mediazione, fu possibile ripristinare una comunicazione costruttiva e qualificante che tra i due partners inficiata da problematiche e rancori che avevano finito per coinvolgere anche la bambina come strumento di contrapposizione.
Fu proprio il ruolo del mediatore, "travestito" da figlio, a convincere (con-vincere: ossia vincere insieme) le parti della necessità di un reciproco riavvicinamento, senza per questo perdere le convinzioni individuali.
Una delle peculiarità della mediazione sta proprio nella possibilità che si da alle parti di recuperare, ognuno nei propri limiti, le reciproche responsabilità genitoriali. In questo caso, attraverso uno strategico utilizzo del calendario dell'affido, si è potuto costruire una sana alternanza tra i bisogni di tutte le parti coinvolte, senza venir meno alle necessità della bambina di frequentare sia la madre che il padre.
Seppure non sia la condizione ottimale per un bambino, in questo caso, il male minore, fu quello di condividere che la bambina sarebbe rimasta con il padre durante l'anno scolastico, mentre si sarebbe ricongiunta con la madre durante le festività.