di Giovanni Miccianza
La norma di cui all’art. 591 c.p. rubricata “Abbandono di persone minori o incapaci” punisce chiunque abbandoni un minore di quattordici anni ovvero una persona incapace, per qualsivoglia causa, di provvedere a se stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura, ovvero, ancora, chiunque abbandoni all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato per ragioni di lavoro.
Il reato in questione si differenzia da quello disciplinato dall’art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), poiché il bene tutelato non è il rispetto dell’obbligo legale di assistenza in quanto tale, bensì il pericolo per l’incolumità fisica, derivante dal suo inadempimento.
Il delitto in commento è un reato proprio in quanto soggetto attivo può essere solo colui che riveste particolari posizioni giuridiche di garanzia, in virtù delle quali è tenuto alla cura e all’assistenza di un minore o di un incapace. Il reato è configurabile solo fino al compimento da parte del minore del quattordicesimo anno di età.
L’abbandono, secondo la dottrina e giurisprudenza dominanti, consiste in qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per l’incolumità della persona. Per custodia deve intendersi un dovere, anche temporaneo, esistente al momento dell’abbandono; per cura, invece, è richiesto un preesistente dovere di assistenza, rilevante anche ove, in concreto non abbia ancora trovato attuazione.
La condotta può essere anche istantanea e può consistere anche nella condotta omissiva di chi, pur non separandosi dal soggetto passivo, impedisca a soggetti idonei ad evitare il pericolo di intervenire prontamente.
Il delitto si consuma con il verificarsi del pericolo di danno ed ha natura permanente, poiché si protrae fino a quando l’imputato non faccia cessare la situazione che non consente un’assistenza o cura adeguata oppure la situazione venga meno per un intervento esterno.
L’elemento psicologico è rappresentato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di abbandonare il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere a se stesso, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica e di cui il soggetto attivo abbia esatta percezione, senza che occorra una particolare azione del reo. Si esige non soltanto la volontà di privare dell’assistenza il minore o l’incapace, con la consapevolezza dell’età minore ovvero dello stato di incapacità, ma anche la consapevolezza della situazione di concreto pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto abbandonato.
Secondo la Suprema Corte per integrare il delitto di cui all’art. 591 c.p. “è necessario che dalla condotta derivi un pericolo anche potenziale per l’incolumità della persona minore o incapace” (Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2007, n. 15147).
Discusso è il problema se l’abbandono temporaneo possa integrare o meno, gli estremi del reato ex art. 591 c.p.. Giurisprudenza e dottrina dominanti propendono per la soluzione positiva in tutti i casi in cui dall’abbandono temporaneo sia dipeso un pericolo per la vita o per l’incolumità del soggetto abbandonato. Altra parte della dottrina, invece, sostiene che la fattispecie in esame si realizza soltanto quando l’agente abbia deciso di abbandonare il soggetto passivo in maniera definitiva e non anche momentanea.
Di recente è stata esclusa la configurabilità del reato nel caso di abbandono del soggetto passivo in un luogo che consenta il tempestivo ritrovamento ed il soccorso. Ed invero, secondo la giurisprudenza di legittimità “l’abbandono di un neonato può, a seconda delle circostanze, integrare o meno la fattispecie astratta di cui all’art. 591 c.p.; in particolare non sussiste l’abbandono, ai sensi dell’art. 591 c.p. allorquando il neonato sia lasciato in condizioni tali da essere certamente ed immediatamente raccolto dalla pubblica o privata assistenza, con esclusione di qualsivoglia pericolo per la vita e l’incolumità personale” (Cass. pen., Sez. V, 13 settembre 1990, n. 12334).
Quanto all’elemento soggettivo del delitto in questione, è da precisare che ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di abbandono di persone incapaci, è richiesta la consapevolezza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alla proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica (cfr. Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2007, n. 15147). L’evento di pericolo per la incolumità di un minore può essere escluso solo se, chi ha l’obbligo di custodia, vigila sui suoi comportamenti attuali o potenziali, ed ha cura dei suoi bisogni, in maniera da prevenire il pericolo secondo la sua capacità in rapporto al tempo ed al luogo.
Per cui in tema di abbandono del minore, sul piano soggettivo del reato rileva esclusivamente la volontà dell’abbandono, che per sé implica coincidenza tra risultato voluto dalla propria condotta ed evento.
TORINO - A quasi 4 anni dall'ultimo appuntamento romano, tornano gli Stati Generali del Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia) per fare il punto, con le realtà italiane che si occupano di minori, della situazione a livello di tutela e maltrattamento della fascia più debole della popolazione. Un bambino non protetto è un bambino che per tutta la vita avrà dei costi per la società. Partendo da questo presupposto il Cismai, nel corso delle due giornate del 12 e 13 dicembre a Torino, fa il punto sulle buone pratiche da adottare per prevenire e curare il maltrattamento e l'abuso, in netta contrapposizione, quindi, con l'ottica prettamente emergenziale che finora è stata prevalente nelle politiche di intervento nazionali.
L'inizio di un percorso. L'appuntamento di Torino, dal titolo "Proteggere i bambini nell'Italia che cambia", è lo step finale di un percorso che il Cismai ha avviato all'inizio dell'anno a Bari, affrontando il problema dell'emersione e della rivelazione della violenza, e successivamente ad Ancona, parlando di separazioni conflittuali. Il titolo si riferisce alla necessità di non perdere di vista, nonostante la crisi, l'obiettivo del contrasto al maltrattamento in un'ottica di prevenzione, mantenendo quindi alta l'attenzione sulla protezione dei minori anche in un'Italia che cambia, e che sempre meno adotta politiche efficaci a questo scopo.
Le politiche sbagliate. Oltre che orientate in ottica emergenziale producono tagli ai bilanci di spesa. I tagli ai bilanci incrementano i casi di maltrattamento. L'Italia è dunque vittima di un circolo vizioso le cui vittime principali sono i bambini, sempre meno tutelati e sempre più compromessi. "Il sistema dei servizi a tutela dell'infanzia in Italia è in crisi - spiega Gloria Soavi, vice-presidente del Cismai - e non è soltanto colpa dei problemi economici del Paese. Gran parte della responsabilità va addebitata alle politiche miopi adottate finora, finalizzate a intervenire solo quando ormai è troppo tardi, con il rischio di cronicizzare le situazioni. Tagli e mancati finanziamenti sul fronte della prevenzione costano, come rivela uno studio condotto da noi in collaborazione con Terre des Hommes e Università Bocconi, ogni anno circa 13 miliardi. Dal 2005 al 2011 i casi di maltrattamento sono cresciuti del 23 per cento, ma il nostro Paese continua a investire poco. Tutto questo è inaccettabile".
L'ascolto del minore. "Tutte le funzioni sono da rispettare ma devono essere realizzate con coscienza - spiega Dario Merlino, presidente del Cismai - e il tema dell'ascolto del minore, uno dei più delicati, in Italia è praticato con prassi spesso inaccettabili. Il giusto processo è giusto per chi?, verrebbe da dire. E' quanto mai necessaria, in Italia, una riorganizzazione della giustizia minorile. Le criticità nel funzionamento della giustizia minorile si riflettono in una crisi del funzionamento dei servizi: l'operatore che segnala situazioni di maltrattamento ha quasi l'impressione di far cadere il bambino in un contesto che, più che tutelarlo, rischia di danneggiarlo ulteriormente". Secondo Merlino, il sistema della giustizia minorile in Italia rischia di non rispettare la convenzione di Lanzarote perché costruisce la protezione del minore senza mettere al centro il bambino. "Per prevenire gli allontanamenti bisogna prevenire i maltrattamenti - continua Merlino - e usare gli strumenti di supporto in modo appropriato. Il maltrattamento istituzionale è un danno doppio per il bambino. Se questi viene maltrattato in famiglia può, in qualche modo, farsene una ragione. Ma quando è l'istituzione che dovrebbe proteggerlo, a maltrattarlo, allora il danno può essere ancor più grave".
A loro riservate tutte le forme del maltrattamento. I bambini rappresentano, secondo David Finkelhor, professore di Sociologia all'Università del New Hampshire (USA), uno dei massimi esperti internazionali sulle problematiche della traumatizzazione infantile, il "segmento di popolazione più vittimizzato al mondo". "Sperimentano tutte le forme di maltrattamento che subiscono gli adulti e, in più, quelle specifiche del loro statuto di bambini, come la trascuratezza". Uno studio che ha raccolto i risultati di 300 indagini sul maltrattamento all'infanzia nel mondo, ha rilevato che il fenomeno dell'abuso è presente in tutti i continenti e in tutti i Paesi. Perché?, si chiede Finkelhor. "Studiosi e politici non hanno mai affrontato seriamente questa domanda, forse pensando che la risposta fosse scontata. Ma così non è".
Stereotipi e pregiudizi. Secondo Andrea Bollini, direttore Centro Studi Sociali sull'Infanzia e l'Adolescenza "Don Silvio De Annuntiis", Scerne di Pineto, e consigliere Cismai, "esistono stereotipi e pregiudizi (miti di violenza, cultura della violenza) che portano a screditare la testimonianza della vittima e minano l'imparzialità di giudizio a favore dell'adulto che abusa. Questi pregiudizi, detti 'distorsioni cognitive', possono arrivare a mettere il bambino vittima nelle condizioni di impedirgli di rendere una testimonianza serena e a subire una seconda vittimizzazione. Da qui la definizione di 'testimone fragilè ".
Quasi tutto viene archiviato. I pregiudizi e le maggiori risorse di cui godono gli adulti condizionano giustizia, forze dell'ordine, avvocati, e conducono, nella maggior parte dei casi, all'impunità. Una ricerca dell'equipe multidisciplinare Cappucceto Rosso, Torino, condotta su 131 procedimenti negli anni 1992-2006, ha dimostrato che nel 64,9% dei casi i procedimenti si concludono in archiviazioni, nei 35,1% con rinvii a giudizio. Conclusi con una condanna solo il 73% dei casi (su 35), 18 con pene detentive, 15 con condizionale, 2 con pene pecuniarie.
La rivoluzione possibile. Potrebbe arrivare dal recepimento della Convenzione di Lanzarote, un apparato di norme finalizzato a proteggere la vittima e a "vedere tutto il percorso processuale penalistico dal punto di vista del minore, dell'interesse superiore del minore e del rispetto dei suoi diritti (art. 30), con la stessa priorità data all'imputato" (Ministero della Giustizia, Nuove prospettive nella tutela del minore. Il progetto CURE e gli altri strumenti internazionali, Roma, 2011). Ma l'Italia è ancora lontana dal pieno rispetto della normativa. Un primo passo verso la protezione del minore in questo senso è quello di cominciare a chiedersi cosa pensano i bambini degli strumenti di protezione messi a loro disposizione dall'ordinamento. "Chiedersi cosa pensano i bambini - spiegano Donata Bianchi, Istituto degli innocenti di Firenze, e Federico Zullo, dell'associazione Agevolando - implica creare in noi adulti uno spazio mentale per immaginare possibile che un bambino esprima la propria opinione. Nonché, naturalmente, aprire spazi di partecipazione".
Il business delle comunità. L'ultimo giorno del congresso ha visto la partecipazione di Luigi Cancrini, psichiatra e direttore scientifico del Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia di Roma, che ha parlato dei contenuti del suo ultimo libro, "La cura delle infanzie infelici" (Raffaello Cortina, 2013, 355 pp.), e l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora: "Non vorrei fare della facile ironia sul termine 'abuso', ma direi che si sta abusando fin troppo della pazienza degli operatori che lavorano nel sociale, costringendoli a sostituirsi alle carenze dello Stato", ha detto, chiudendo i lavori alla presenza di oltre 700 partecipanti. Altro tema affrontato da Spadafora è stato quello del presunto "business delle comunità" per l'accoglienza dei minori: "Ma quale business? Io ho conosciuto comunità che stanno chiudendo. Per evitare che passino messaggi come questo, completamente sbagliati, è dunque necessario tenere alta la soglia della tensione. Senza dimenticare il tema della povertà, che nei prossimi anni diventerà sempre più centrale, vista la situazione economica, e che rappresenta il cardine da cui partono tutte le principali discriminazioni tra la popolazione, minori compresi. Nel mondo sono milioni i bambini che vivono sotto la soglia della povertà: è un dato che non possiamo certo ignorare".
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