Studio

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Essere avvocato

Dire sono avvocato significa dire " ho dedicato la mia vita al diritto ", lo stesso diritto che ho visto calpestato ed umiliato dentro e fuori le aule giudiziarie. Il diritto che spesso è inteso come strumento di attuazione del potere. Questo concetto applicato al diritto di famiglia può far capire come in questi casi quanto sia squallido l'abuso di potere.
Piegato su me stesso, ma mai vinto, con umiltà e dedizione ho cercato di far si che il giusto , ossia l'applicazione della giustizia, corrispondesse all'equità.
Non è stato mai facile, ed anzi più passa il tempo, e più mi rendo conto che il mio sogno di ragazzo nel quale vedevo realizzarsi la giustizia intesa come equanimità, in effetti è solo un illusione, che si scontra con la natura umana, di per sé immutabile.
L'evoluzione della società si traduce in una effimera civiltà, perché, a ben riflettere, nulla è cambiato se non in peggio dall'attenta analisi di Blaise Pascal “È giusto che si segua ciò che è giusto; è necessario che si segua ciò che è più forte. La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica. La giustizia senza la forza è contraddetta, perchè ci sono sempre dei malvagi; la forza senza la giustizia è messa in accusa. Bisogna dunque unire la giustizia e la forza; e perciò bisogna far sì che ciò che è giusto sia forte e ciò che è forte sia giusto. La giustizia è soggetta a discussione, la forza è molto riconosciuta e indiscussa. Così non si è potuto dare la forza alla giustizia perchè la forza ha contraddetto la giustizia e ha affermato che solo lei era giusta. E così, non potendo ottenere che ciò che è giusto sia forte, si è fatto sì che ciò che è forte sia giusto"
Capirete perché mi sembra di stare su una barca che vacilla, continuando a remare controcorrente, spinto nella costante ricerca della verità, cercando di far si che il giusto corrisponda all'equo. Quando poi nel mio mandato mi imbatto nella difesa dei minori o disabili, se la mia etica si scontra con le esigenze del mio assistito, prevale su queste tanto da indurmi a rimettere il mandato, se non ascoltato .... detto questo aggiungo che è gradita la partecipazione a questo blog, che null'altro vuole essere che la porta di ingresso alla mia officina. Così chiamo il mio "studio" ossia non il luogo materiale dove lavoro, bensì il luogo dove la mia conoscenza del diritto è in costante evoluzione, perché attraverso il mio studio e la mia esperienza, si rinnova, si amplia e sia apre a nuove prospettive: questa è la mia "Officina del Diritto" spazio che vi offro attraverso la mia e-mail
studiolegalelafarina@libero.it . Le vostre indicazioni, critiche, scritti e comunque i vostri apporti saranno fedelmente riportati nella pagina della " Tavola Rotonda" pagina appositamente creata in questo blog per poterci confrontare

Quotidiano della Pubblica Ammimnistrazione

lunedì 24 dicembre 2018

Sottrazione di minore

Faccio mia l'interessante pubblicazione dell'avvocao Daniela Bianco del foro di Reggio Calabria.
Potete trovarla sul sito deglie avvocato Rando Gurrieri & Pateners

https://www.avvocatirandogurrieri.it/leggi-e-diritto/a-seguito-di-separazione-uno-dei-genitori-sottrae-all-altro-il-minore-reati-configurabili-e-legittimazione-a-proporre-querela-alla-luce-dei-recenti-orientamenti-giurisprudenziali


A seguito di separazione uno dei genitori sottrae all’altro il minore: reati configurabili e legittimazione a proporre querela alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali



 A seguito dei procedimenti separativi, sia essi consistenti in separazione personale dei coniugi che in cessazione di convivenza more uxorio, in presenza di figli, l'affidamento condiviso degli stessi, introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la L. n. 54/2006, rappresenta la regola generale nei casi di disgregazione del legame familiare.
Una regola questa che rispetta a pieno il principio della bigenitorialità, coincidente con il diritto soggettivo del minore affinché entrambi i genitori, anche se separati, abbiano medesima responsabilità.
Lo stesso termine "bigenitorialità" è espressione di un principio in base al quale un minore possa contare sull'apporto di entrambi i genitori a prescindere dal fatto che questi ultimi rappresentino una coppia o che siano separati.
Spesso si assiste però all'illegittimità dell'operato di un adulto (quasi sempre uno dei genitori) che "sottrae" il bambino e lo porta con sé in una nuova residenza, senza il consenso dell'altro coniuge.
In questi casi, è evidente il pregiudizio arrecato al minore il qualeha il diritto di rimanere nel luogo della sua residenza abituale, nel suo interesse esclusivo e superiore, fino a che a causa di una diversa e concorde decisione dei genitori si ravvisi la necessità di mutarla.
Ebbene tale comportamento attuato dal genitore, nei termini sopra descritti, riveste rilevanza sia da un punto di vista civile che penale.
Sotto il profilo civilistico, la violazione delle disposizioni contenute in un provvedimento giudiziale che regolamenti affidamento del minore può determinare peril genitore che ha posto in essere un simile comportamento una modifica del regime di affidamento e talvolta anche una limitazione della responsabilità genitoriale, per la manifestata incapacità genitoriale.
 Dal punto di vista penale, quali sono i reati configurabili in questi casi?
Certamente costituisce reato "sottrarre" un minore di età al genitore che esercita la responsabilità genitoriale, cioèallontanarlo dal genitore ovvero condurlo e trattenerlo lontano da lui in modo da impedire od ostacolare l'esercizio delle funzioni genitoriali.
Si tratta di un reato per cui è palese la lesione dell'esercizio della bigenitorialità.
In tale senso l'art. 574 c.p. disciplina il c.d. reato di "sottrazione di minore": "chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale , al tutore [346], o al curatore [424], o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore [120], con la reclusione da uno a tre anni.
Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio. Si applicano le disposizioni degli articoli [525] e [544] [c.p.p. 689]".
Si tratta di un reato plurioffensivoin quanto qui il legislatore ha voluto tutelare non solo la responsabilità genitoriale, ma anche il diritto del minore a vivere nel proprio ambiente.
Recentemente la Suprema Corte in un caso di sottrazione di minore operata da un genitore, ha statuito che "integra il reato di cui all'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora (fattispecie relativa alla sottrazione di minore da parte della madre che portava la figlia per un periodo di circa quindici giorni in una località ignota al padre, affidatario in via esclusiva, interrompendo ogni contatto tra quest'ultimo e la figlia) (sul punto cfr. Cass. pen., sez. V, 28-03-2018, n. 28561).
Il bene giuridico oggetto di tutela è la responsabilità genitoriale offesa da coloro che, approfittando del consenso del minore, rendano impossibili il normale svolgimento del compito di ogni genitore.
Il dissenso del genitore può anche presumersi in base alle circostanze ed alle modalità della sottrazione, tenendo comunque conto di tutte le circostanze, delle particolari condizioni dell'ambiente familiare, delle abitudini e delle consuetudini in cui vive il minore.
Il reato si consuma nel momento in cui viene interrotto di fatto il vincolo di soggezione con l'altro genitore, indipendentemente dal fine perseguito dal soggetto agente o dal minore.
A differenza dell'articolo 573 c.p.,la norma in esame, punisce la sottrazione di un minore di anni quattordici o di un incapace, per il quale si presume l'incapacità di prestare il proprio consenso all'allontanamento volontario dall'altro genitore (o tutore, curatore ecc.).
Come da orientamento consolidato della Suprema Corte, il delitto di cui all'art. 574 c.p. commesso da uno dei genitori nei confronti dell'altro, è configurabile sia nel caso di famiglia matrimoniale sia nell'ipotesi di famiglia di fatto (sul punto cfr. Cass. pen. Sez. VI, 4 luglio 2002, n. 28863).
Per completezza, un minimo accenno (vista la vastità dell'argomento) va fatto anche alla sottrazione internazionale dei minorenni, che si verifica nel caso in cui un minore avente la residenza abituale in un determinato Stato è condotto in un altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale, configurandosi così il reato di cui all'art. 574 bis c.p.c.. Questa condotta è comunemente intesa come una delle tante forme di maltrattamento dei bambini.
Integrano il delitto di sottrazione e trattenimento di minore all'estero, di cui all'art. 574 bis c.p., le condotte di abductio o di trattenimento del minore al di fuori del territorio dello stato, cui consegue l'impedimento dell'esercizio della potestà genitoriale da parte del soggetto legittimato, atteso che detto reato si connota, rispetto al delitto di sottrazione di persone incapaci, dall'elemento specializzante del trasferimento o trattenimento all'estero (Cass. pen., sez. VI, 31-03-2016, n. 17679).
La sottrazione di minore non è il però solo reato configurabile.
Infatti il comportamento di uno dei genitori che allontana volontariamente il minore dall'altro genitore, integra anche il reato di"elusione" del provvedimento del giudice civile che concerne l'affidamento di un minoredi cui all'art. 388 c.p.
Il suddetto articolo prevede che commette tale reato " chi elude l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342 ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. La ratio di tale disposizione si individua nell'esigenza di tutelare l'interesse all'esecuzione delle sentenze e dei provvedimenti".
Anche tale norma configura, come il precedente reato oggetto di esame, un reato plurioffensivo, dato che tutela non solo l'autorità delle decisioni giudiziarie, ma anche l'interesse del privato a favore del quale è stato emesso il provvedimento o la sentenza del giudice.
Il delitto è inoltre un reato proprio, dato che può essere commesso solamente dal destinatario del provvedimento o della sentenza del giudice.
La condotta penalmente rilevante che rileva è quella di chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, amministrativo o contabile che riguardi l'affidamento di minori o di altre persone incapaci.Per tale condotta è sufficiente l'accertamento del dolo generico, consistente nella rappresentazione e volontà di eludere il provvedimento e gli obblighi ivi specificati.
Ma in questi casi a chi spetta il diritto di querela? Esclusivamente all'altro genitore o anche chi eserciti anche la momentanea custodia o vigilanza del minore?
Il titolare  del diritto di querela nei reati di sottrazione è il genitore esercente la responsabilità genitoriale.
L'argomento di grande attualità è stato recentemente oggetto di esame da parte della Suprema Corte di Cassazione che con la recente pronuncia Cass. pen. Sez. VI, 22 ottobre 2018, n. 48092, la quale ha statuito che la legittimazione a proporre querela in relazione al reato di cui all'art. 574 c.p., spetta soltanto ai soggetti individuati dalla norma (genitore esercente la potestà, tutore o curatore) esclusi, pertanto, quelli che abbiano solo la vigilanza o la custodia del minore.
Pertanto, alla luce della suddetta pronuncia, il reato di sottrazione di minorenni non è procedibile a querela di chi abbia la sola vigilanza/custodia del minore e non rivesta la qualifica di tutore/curatore.
Si legge nella richiamata sentenza che "dalla relazione ministeriale sul progetto del codice penale risulta che per il reato in esame "il diritto di querela spetta, esclusivamente, jure proprio, al genitore che esercita la patria potestà o al tutore o al curatore, derogandosi alla regola generale stabilita dall'art. 124 (ora 120) del codice penale richiedendo nel genitore che voglia querelarsi, un effettivo esercizio della patria potestà. In conformità a tale orientamento si è espressa la giurisprudenza che ha individuato quale principale bene giuridico tutelato dalla norma la potestà genitoriale (Sez. 6, n. 28863 del 04/07/2002,). Pertanto, non può avere luogo la estensione della legittimazione a proporre querela a coloro che hanno la vigilanza o custodia del minore in ragione della specialità della norma che prevede la causa di procedibilità ed in rapporto al bene tutelato dalla norma".
La medesima sentenza chiarisce in maniera più che esaustiva anche il rapporto tra la condotta di cui all'art. 574 c.p.e la condotta di cui all'art. 388 c.p.
In relazione a tale aspetto ritiene infondato il motivo di ricorso secondo cui il reato di cui all'art. 388 c.p. debba considerarsi assorbito a quello disciplinato dall'art. 574 c.p.
Costituisce jus receptum che le norme di cui agli artt. 388 e 574 c.p., che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persona incapace non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità, poiché il primo reato è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre il secondo è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla potestà genitoriale o ad altre situazioni particolari, ed inoltre le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme (Sez. 6, n. 33989 del 11/06/2015, P., Rv. 264664).
Sotto il profilo della legittimazione a proporre querela per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice riguardante l'affidamento dei figli, previsto dall'art. 388, 2° comma, c.p., questa spetta al genitore interessato all'osservanza del provvedimento e non al minore, in quanto l'interesse tutelato è quello relativo all'esercizio delle prerogative genitoriali sul punto cfr. Cass. pen., sez. VI, 25-07-2017, n. 46483.
Pertanto, in casi simili, opportuno rivolgersi ad un legale specializzato in materia che possa consigliare la strategia difensiva idonea al fine di tutelare il preminente interesse del minore nonché poter dare adeguata tutela ai diritti del genitore affidatario.
Si indicano di seguito alcune recenti sentenze della Suprema Corte in materia.
Cass. pen., sez. V, 14-03-2016, n. 41658.
Integra il delitto previsto dall'art. 574 c.p. la condotta del genitore che sottragga totalmente il figlio minore alla vigilanza dell'altro coniuge affidatario, così da rendergli impossibile l'esercizio della potestà genitoriale (fattispecie in cui la corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il reato con riferimento alla condotta del padre di sottrazione del figlio alla nonna materna, cui il minore era stato temporaneamente affidato dalla madre, e di successivo trattenimento per alcuni giorni presso la sua abitazione, anche dopo il ritorno della madre, così imponendo a questa di visitare il figlio a casa sua).
Cass. pen., sez. III, 19-10-2016, n. 4186.
Integra il reato di cui all'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga il figlio per un periodo di tempo rilevante, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora
Cass. pen., sez. VI, 11-06-2015, n. 33989.
Le norme di cui agli art. 388 e 574 c.p., che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persona incapace non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità, poiché il primo reato è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre il secondo è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla potestà genitoriale o ad altre situazioni particolari, ed inoltre le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme.
Cass. pen., sez. un., 21-12-2017, n. 12213.
Nel delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice il termine per proporre la querela decorre dalla data in cui l'inottemperanza pervenga a conoscenza del creditore, restando a carico di chi deduce la tardività della querela la prova del difetto di tempestività della stessa.
Cass. pen., sez. VI, 18-03-2016, n. 12391.
Integra una condotta elusiva dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di minori, rilevante ai sensi dell'art. 388, 2º comma, c.p., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l'attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione (fattispecie relativa ad elusione del provvedimento relativo al diritto di visita del minore da parte del genitore non affidatario, emanato dal giudice civile in sede di separazione personale).
Daniela BiancoAvv. DANIELA BIANCO del Foro di Reggio Calabria
L'avvocato Daniela Bianco
 malgrado sia giovane,  si è già autorevolmente affermata non solo nel suo foro di appartenenza.

Dice di sè ".... Sono un Avvocato e una persona solare, eclettica e molto precisa nei rapporti interpersonali, professionale e deontologicamente corretta nei confronti di colleghi e di clienti.

Amo la giustizia nel puro significato del termine e ritengo che la mia soddisfazione sia quella del cliente che va ascoltato ma non sempre assecondato.

Sotto l'avvocato Daniela Bianco con il collega Giuseppe La Farina

Laureata con lode presso l’Università degli Studi di Palermo nel 2003, ho conseguito la specializzazione per le professioni legali indirizzo giudiziario- forense Presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria nel 2005. Nel 2007 ho conseguito l’abilitazione alla professione forense ed attualmente sono iscritta all’albo dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria dall’11.11.2007. Dal 2005 mi occupo di diritto civile ed in particolare delle problematiche inerenti il delicato settore del diritto di famiglia nel quale svolgo attività di consulenza anche on line ed assistenza giudiziale"






mercoledì 1 novembre 2017

Affidamento Paritetico - Una svolta o caso isolato?

Riporto l'articolo de "L'Eco del Litorale"

Il Tribunale di Roma con la sentenza numero 82394/2016 del 12/09/2017, ha per la prima volta riconosciuto l’affidamento condiviso paritetico di minori ad una coppia, nell’ambito di un giudizio di separazione consensuale.
Il Giudice, dopo aver accertato che tra i coniugi era cessata qualsivoglia comunione materiale e spirituale, ha omologato le condizioni stabilite tra gli ex, che, con riferimento alle figlie minori, si sono orientati verso una permanenza equilibrata del piccolo con il padre e con la madre.

AFFIDAMENTO CONDIVISO PARITARIO

Dopo la scelta operata dal Tribunale di Brindisi di riformare le Linee guida per la sezione famiglia, operando una nuova lettura delle norme in tema di affidamento dei figli, maggiormente orientata a modelli paritetici di affidamento e ad un’effettiva bigenitorialità, l’ANFI – Associazione Nazionale Familiaristi Italiani, sulla scia di un’interpretazione dell’affidamento condiviso che sta prendendo sempre più piede, in quanto considerata maggiormente corrispondente al dettato normativo, riesce a far omologare il primo accordo di affidamento condiviso paritetico di minori al Tribunale di Roma.
Un’accordo che fa scuola e che affida ad entrambi i genitori le due figlie minori riconoscendo il domicilio delle due ad  entrambi i coniugi con una frequentazione a settimane alterne. La residenza delle figlie, invece, avrà valenza meramente anagrafica. Vacanze estive e natalizie a metà secondo accordi da stabilire entro il 31 maggio ed entro il 30 novembre, trascorrendo Natale e Capodanno con l’uno e l’altro genitore in modo alternato di anno in anno, vacanze pasquali intere alternate da un anno all’altro.

MANTENIMENTO DIRETTO

Le particolari modalità di collocazione del minore, stabilite dai coniugi in sede di separazione e omologate dal Tribunale, si riflettono anche nell’obbligo di mantenimento del figlio, che avverrà in maniera diretta: ciascuno dei genitori, infatti, è chiamato a fornire vitto e alloggio nel tempo in cui avrà il figlio con sé e a coprire anche ogni spesa legata alla convivenza. Le parti, poi, concorreranno al 50% alle spese straordinarie e non prevedibili.

DAL CONDIVISO AL PARITETICO

Punto di partenza di tale rivoluzione è stata la presa di coscienza della mai avvenuta applicazione della riforma introdotta nel 2006, volta alla cristallizzazione del principio della corrispondenza della c.d. bigenitorialità al superiore interesse del minore, nonché del pregiudizio che il collocamento prevalente ha sui legami tra figlio e genitore non collocatario e sulla serena e corretta crescita dei figli.
Nonostante la riforma, il genitore collocatario resta tutt’ora quello depositario della cura della prole, relegando di fatto il non collocatario ad un ruolo da comprimario, un genitore da week end, destinato a seguire passivamente la linea educazionale tracciata per i propri figli dal collocatario, così perdendo, di fatto, quel ruolo di cogestione che la legge 54/2006 gli aveva invece attribuito.
Dopo 11 anni dall’entrata in vigore della riforma qualcosa sembra ora cambiare. La giurisprudenza italiana comincia a mettere in discussione tale principio garantendo al minore pari opportunità di frequentare sia la mamma che il papà.
Un rivoluzione culturale appena partita che vede i figli domiciliati presso entrambi i genitori, con una residenza puramente anagrafica e dei tempi di frequentazione dignitosi con entrambi le figure genitoriali.
«Quello di Roma è un risultato straordinario – dichiara il presidente ANFI Avv. Carlo Ioppoli – non è stato facile superare le resistenze poste dallo stesso Giudice, ma ci siamo riusciti. Questo risultato avvicina l’Italia a tutti gli altri paesi europei nei quali da tempo si applica un affido paritario vero».

lunedì 16 ottobre 2017

domenica 23 ottobre 2016


Vi allego una interessante pubblicazione curata da "Ediliza Urbanistica del 17/10/2016
La diversa distruzione degli ambienti interni di un appartamento è attività edilizia libera
Modificazione delle tramezzature interne, spostamento del servizio igienico ed eliminazione di un precedente ambiente
Segnaliamo la recente sent. 14 ottobre 2016 n. 4267 del Consiglio di Stato, in materia di attività edilizia libera.
I giudici hanno ricordato come la modificazione delle tramezzature interne, lo spostamento del servizio igienico e l’eliminazione di un precedente ambiente (avvenuto mediante demolizione di una preesistente tramezzatura) costituiscono opere interne all’unità abitativa e, come tali, opere di manutenzione straordinaria.
L’art. 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia) qualifica, alla lettera b), gli “interventi di manutenzione straordinaria” come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologiche, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche della destinazione d’uso”. Il successivo art. 6 riconduce nella “attività edilizia libera” gli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio.
Le opere che non interessano parti strutturali dell’edificio ma, unicamente, una diversa distribuzione degli ambienti interni dell’unità abitativa mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature (in tale ambito rientra anche lo spostamento del servizio igienico) possono certamente ricondursi alla categoria della “manutenzione straordinaria” e non anche della ristrutturazione edilizia.
In argomento di attività edilizia libera ricordiamo l'emanando decreto SCIA 2 (uno dei decreti della c.d. Riforma Madia, la cui bozza è approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 15 giugno e bollinata dalla Ragioneria Generale dello Stato l’8 luglio (n. prot. RGS 0054059/2016), il quale prevede una serie di modifiche al Testo Unico edilizia nella suddetta materia, con l’aumento delle ipotesi di attività edilizia eseguibili senza titolo abilitativo e la scomparsa della comunicazione inizio lavori (ad esempio, lo spostamento di pareti interne e la diversa distribuzione degli ambienti interni rimane attività di manutenzione straordinaria, subordinata alla presentazione di una comunicazione inizio lavori asseverata).

Condominio: avere un animale è un diritto Redazione www.peofessionisti,it


Condominio: avere un animale è un diritto

Tenere un animale domestico in un appartamento situato in un condominio è sempre un diritto? Scopriamo cosa prevede la legge anche alla luce di una recente sentenza in merito.

Cane in condominio? Sì grazie

La legittimità del tenere un animale domestico negli appartamenti, anche se situati in condominio, è spesso oggetto di discussione all'interno degli edifici e delle assemblee condominiali. Una legge piuttosto recente, promossa e sostenuta da diverse associazioni animaliste, ha fatto sì che tenere un animale domestico possa essere considerato un diritto della persona, che non si applica solo agli spazi di abitazione ma a tutto ciò che concerne la vita dell'individuo.
Nel caso specifico, oggetto di giudizio da parte del giudice di pace di Pordenone, un inquilino di un condominio era stato chiamato in causa dagli altri condomini per aver acquistato un cane di piccola taglia per la propria figlia, in contrasto con quanto previsto dal regolamento condominiale. Nonostante il cane non avesse arrecato alcun danno al condominio, l'assemblea condominiale ne aveva chiesto l'allontanamento, chiamando in giudizio il proprietario dell'animale dopo un tentativo di accordo non andato a buon fine.

No agli animali? Il regolamento condominiale è nullo

Nel caso specifico inoltre i condomini contrari all'animale citavano a loro favore il regolamento condominiale, che vietava esplicitamente la detenzione di animali domestici, a prescindere dalla taglia o dal tipo di animale. Secondo il giudice chiamato a pronunciarsi in merito però il regolamento condominiale non può essere considerato valido, in quanto la norma presente è del tutto contraria a quanto previsto da una legge in vigore e ne ha quindi dichiarato la nullità. In aggiunta è stato appurato che il cane in questione non aveva arrecato alcun danno al condominio, rendendo quindi ancora meno plausibile una richiesta di allontanamento.
Nella sentenza emessa dal giudice di pace i condomini sono stati condannati al pagamento delle speseprocessuali sostenute dalla famiglia del cane in questione. 
Anche se riguarda un caso specifico, la sentenza potrebbe essere di esempio anche per altri dibattimenti simili; ricordiamo quindi che non è possibile per un'assemblea condominiale o per il proprietario di un immobile, anche se concesso in affitto, vietare l'accesso agli animali domestici. Qualsiasi regolamento condominiale che contenga questa norma potrà quindi essere ritenuto non valido in sede di giudizio, in quanto contrastante con le leggi nazionali.
Il possessore dell'animale deve, come anche il buon senso suggerisce, quindi solo preoccuparsi che l'animale non arrechi alcun danno agli spazi comuni o pubblici.

lunedì 2 maggio 2016

Da "Il Quotidiano della Pubblica              Amministrazione"

Giustizia: addio ai Giudici di Pace arrivano i Gop

La riforma della magistratura onoraria è diventata legge. Le novità in sintesi.
Nella seduta odierna, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge, già approvato dal Senato, recante delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace (C. 3672), con conseguente assorbimento delle abbinate proposte di legge: Greco; Carrescia ed altri; Tartaglione ed altri (C.1338-1669-1696).
Sul sito del Ministero del Governo si evidenzia come, in tal modo, la riforma della magistratura onoraria oggi è diventata legge, "una tappa importantissima assolutamente sottovalutata rispetto alle dimensioni".
Quasi la metà dell'insieme dei processi passano di fronte alla magistratura onoraria e questo è avvenuto fino ad oggi attraverso un sistema che prorogava di anno in anno i magistrati onorari.
 
Oggi viene dato un riferimento temporale certo, più trasparenza al sistema, un percorso di qualificazione e di accesso che migliorerà la qualità dei magistrati onorari e anche una prospettiva di miglior tutela dal punto di vista previdenziale a questi magistrati che erano in una condizione di "superprecarietà". Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando commenta con soddisfazione l'approvazione in via definitiva, da parte della Camera, della delega al governo per "la riforma organica della magistratura onoraria".
 
Ecco, in sintesi, le principali novità.
 
Unificazione magistrati onorari. Cade la distinzione tra giudici di pace e giudici onorari di tribunale, ci sarà un’unica figura di giudice onorario, denominato "giudice onorario di pace" (gop), inserito in un solo ufficio giudiziario. I magistrati requirenti onorari confluiranno, invece, nelle procure della Repubblica in una specifica articolazione (ufficio dei vice procuratori onorari). Novità anche in merito all’accesso: per la nomina basterà la sola laurea in Giurisprudenza, ma stop all’ingresso di chi è già in pensione. Vengono poi ridefiniti il requisito dell’età (dai 27 ai 60 anni), i titoli preferenziali e il procedimento di nomina che ora spetterà alla sezione autonoma della magistratura onoraria (che va istituita) del Consiglio giudiziario.
 
Incarichi più brevi. La durata dell’incarico è stabilita in quattro anni, rinnovabile per una sola volta (per chi è già in servizio il limite massimo resta quello di quattro quadrienni). Lo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario per due mandati sarà titolo preferenziale nei concorsi per la pubblica amministrazione. Per i primi due anni i gop saranno impiegati presso l’ufficio del processo e nel corso dell’incarico avranno l’obbligo della formazione professionale. Si procede infine al riordino complessivo dei casi di incompatibilità (con una stretta sull’incompatibilità familiare) e all’individuazione degli illeciti disciplinari. Quanto all’indennità, sarà composta da una parte fissa e una variabile.
 
Riorganizzazione ufficio giudice di pace. L’ufficio del gop perde l’attuale autonomia funzionale e organizzativa, sarà infatti, il presidente del tribunale a coordinarlo provvedendo alla gestione del personale di magistratura e amministrativo. Il presidente del tribunale predisporrà tabelle di organizzazione dell’ufficio onorario e le cause saranno assegnate ai gop sulla base dei criteri stabiliti in sede tabellare.
 
Ampliamento competenzeAumentano le competenze dei giudici onorari. Sul fronte civile, al gop saranno attribuite le cause condominiali, i procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose in possesso di terzi (con l’obbligo però di seguire le direttive di un giudice togato) e i procedimenti meno complessi in materia di successioni e comunione. La competenza per valore viene estesa fino a 30mila euro e per gli incidenti stradali fino a 50mila euro. Il giudice di pace avrà poi la possibilità di decidere, secondo equità, tutte le cause di valore fino a 2.500 euro. Sul piano della competenza penale, saranno attribuite nuove fattispecie di reato quali minaccia (salvo vi siano aggravanti) e furto perseguibile a querela, abbandono di animali e contravvenzioni riguardanti animali o specie vegetali protette, commercio e vendita di fitofarmaci e rifiuto di fornire le generalità alle forze dell’ordine.
 
Giudici onorari nei collegi giudicanti. I giudici onorari dopo due anni di incarico, in casi eccezionali e contingenti e in presenza di specifici presupposti (scoperture di organico e), potranno essere componenti dei collegi giudicanti civili e penali. Sarà anche possibile, in ipotesi tassative, applicare i gop nella trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario, con l’eccezione però dei procedimenti cautelari e possessori in materia civile e nelle controversie di lavoro e previdenza e in campo penale delle funzioni di gip e gup e per qualsiasi procedimento che non consenta la citazione diretta.
 

sabato 5 marzo 2016

La Cassazione su estratto conto e 'usi piazza'

La Cassazione su estratto conto e 'usi piazza' a cura di Fabio Fiorucci 
Avvocato - Già componente della Commissione tecnica legale e della Commissione tecnica ordinamento finanziario presso l’ABI.
È consolidato orientamento della Cassazione che la mancata tempestiva contestazione, da parte del correntista, degli estratti conto inviati nel corso del rapporto, renda inoppugnabili gli addebiti e gli accrediti ivi contenuti solo sotto il profilo contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite del conto derivano (ex multis Cass. n. 20221/2015; Cass. n. 11626/2011; Cass. n. 3574/2011; Cass. n. 6514/2007; Cass. n. 10376/2006; Cass. n. 7662/2005; Cass. n. 10186/2001; Cass. n. 10129/2001).
Di conseguenza, la mancata contestazione non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia delle clausole contrattuali che giustificano i versamenti cui le annotazioni si riferiscono né dalla conseguente azione di ripetizione delle somme percepite dalla banca.
Anche la validità della clausola di rinvio ai cosidetti "usi di piazza", ai fini della determinazione dell’interesse debitore, è parimenti esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17.2.1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico bancario (d.lgs. 1.9.1993, n. 385), la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale.
Insomma, il riferimento al c.d. “uso piazza” è del tutto generico, non rispetta il requisito della determinabilità del contenuto del contratto in base ad altro specifico criterio ricavabile dal contratto stesso, e consente quindi l’applicazione di parametri mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza (Cass. n. 27118/2013; Cass. n. 17679/2009; Cass. n. 10127/2005; Cass. n. 17338/2002).


venerdì 4 marzo 2016

ADOZIONE DEL FIGLIO DEL PARTNER

Stepchild adoption: i giudici bruciano sul tempo il legislatore
Tribunale, Roma, sentenza 29/10/2015
Pubblicato il 25/02/2016 da "Il quotidiano Giuridico"
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L’adozione “in casi particolari” ex art. 44, comma 1 lett. d) l. 184/1983 può essere disposta a favore del convivente omosessuale del genitore dell’adottando, quando essa risponde al superiore interesse del minore e garantisce la copertura giuridica di una situazione già esistente da anni, che nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale.
Con ricorso al Tribunale per i Minorenni di Roma, ex art. 44, c. 1, lettera d) L. 184/83, come modificata dalla L. 149/2001, una donna riferiva di avere intrapreso, dal febbraio 2009, una relazione sentimentale omosessuale.
Fin dai primi anni, la ricorrente e la sua compagna avevano sentito il desiderio di avere un figlio.
Conseguentemente, nell'ottobre 2012, dopo aver maturato fino in fondo e responsabilmente la loro decisione, entrambe si erano recate in Belgio per sottoporsi alle pratiche di procreazione assistita; intanto, avevano deciso che a portare avanti la procreazione biologica sarebbe stata la più giovane delle due e, quindi, con maggiori possibilità di riuscita della inseminazione intrauterina.
La ricorrente aveva seguito lo stato di gravidanza della partner con affetto e dedizione, vivendo anche lei l'attesa con animo commosso e proteso all'evento.
Dopo la nascita, la ricorrente aveva instaurato con la minore un rapporto così significativo, da essere riconosciuta come mamma.
Ciò premesso, la ricorrente chiedeva, alla luce dei rapporti instaurati e consolidati con la minore, di poterla adottare.
Il Tribunale acquisiva una relazione del competente Servizio Sociale sulle condizioni di vita delle due donne, sul loro rapporto con la bambina, sulle figure familiari di supporto.
Il Collegio, inoltre, stante la non lunga durata del periodo di convivenza e la tenera età della minore, decideva di disporre una C.T.U. al fine di ulteriormente verificare la qualità delle relazioni familiari, il livello di funzionalità, le dinamiche e le risorse del nucleo nel suo complesso e gli eventuali interventi di sostegno finalizzati alla acquisizione e/o al potenziamento delle funzioni genitoriali.
Espletato l'esame peritale il procedimento veniva trasmesso al P.M.M. per il parere.
Il P.M.M. esprimeva, tuttavia, parere negativo all'accoglimento del ricorso, in mancanza del “”presupposto ineludibile della norma indicata, costituito da una situazione di abbandono” ed in mancanza della “nomina di curatore speciale al minore, ravvisandosi conflitto di interesse tra la madre della piccola e la figlia medesima".
Il Collegio ha accolto il ricorso.
L’adozione richiesta dalla ricorrente è disciplinata dal titolo IV della legge 4.5.1983 n. 184 (come modificata dalla legge 28.3.2001 n. 149) agli arti. 44 - 57.
Si tratta di un tipo di adozione in "casi particolari", che mira a realizzare l'interesse del minore ad una famiglia in quattro specifiche ipotesi, in cui legislatore ha voluto facilitare il procedimento di adozione, per un verso ampliando il novero dei soggetti legittimati a diventare genitori adottivi e, per altro verso, semplificando la procedura di adozione.
L'art. 44, L. n. 184/1983 prevede quanto segue:
“1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7:da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano, di padre e di madre;dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio, anche adottivo dell'altro coniuge;quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992,n. 104,esia orfano di padre, e di madre;d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.2. L'adozione, nei casi indicati nel comma l, è consentita anche in presenza di figli legittimi.3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del I comma l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”.
L'adozione "in casi particolari", disciplinata dal citato articolo, risponde all'intenzione del Legislatore di voler favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura del minore stesso, prevedendo la possibilità di un'adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante, ma con presupposti meno rigorosi. Viene data in tal modo rilevanza giuridica a tutte quelle situazioni in cui, pur essendo preminente la finalità di proteggere il minore, mancano le condizioni che consentono l'adozione con effetti, legittimanti di un soggetto minore di età.
La ratio legis trova una espressa manifestazione nell'art. 57, n. 2, laddove impone al tribunale di verificare se l'adozione ex art. 44 L. 184/83 "realizza il preminente interesse del minore".
Nella fattispecie in esame, prevista dalla lettera d) del comma 1 del citato articolo, il minore può essere adottato, anche quando non ricorrono le condizioni per l'adozione legittimante, quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
La giurisprudenza di merito ha dato di questo articolo un'interpretazione più ampia, riconoscendo che l'impossibilità di affidamento preadottivo può essere unaimpossibilità non solo di fatto, che consente di realizzare l'interesse preminente di minori in stato di abbandono ma non collocabili in affidamento preadottivo, bensì anche una impossibilità di diritto, che permette di tutelare l'interesse di minori (anche non in stato di abbandono), attraverso il riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più compiuti e completi.
Nel caso di specie non si ravvisa alcun conflitto d'interessi tra la figlia e la madre; quest’ultima risulta l'unica rappresentante legale della minore in grado di esprimere il suo consenso cosi come previsto dall'art. 46 della legge che regola le adozioni in casi particolari.
In conclusione, il Collegio ritiene che l'art. 44, comma 1, lett. d) consente alla ricorrente di adottare la minore purché, in fatto, l'adozione risponda al preminente interesse della minore medesima.
Né può ostare all'adozione della minore da parte della ricorrente la circostanza che la madre non è, ai sensi dell'ordinamento italiano, coniugata con la ricorrente.
Invero, un rapporto di coniugio tra il genitore dell'adottando e l’adottante è previsto solo dall'art. 44, c. 1, lett. b), e non anche dall'art. 44, c. 1, lett. d), che trova applicazione nella fattispecie de qua.
Peraltro, il criterio dell'imitatio naturae, in virtù del quale l'adozione dovrebbe rispecchiare il modello dominante della famiglia tradizionale unita dal vincolo del matrimonio, aveva già subito un ridimensionamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 145/1969 dove veniva precisato che, con riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., queste disposizioni "non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae", esprimendo, invero, una mera indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, sulla scorta dell'esigenza di garantire al minore la stabilità necessaria sotto il profilo educativo ed affettivo.
Ne consegue che, ad avviso del Collegio, l'adozione ex art. 44, comma 1, lett. d) può essere disposta a favore del convivente del genitore dell'adottando, ricorrendone gli altri presupposti di legge.
La conclusione raggiunta non può non applicarsi, ad avviso del Collegio, anche a conviventi del medesimo sesso.
Ciò, in primo luogo, alla luce dell' inequivoco dato letterale di cui all'art. 44, comma 1, lett. d). Tale norma non discrimina tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Una lettura in senso diverso sarebbe, peraltro, contraria alla ratio legis, al dato costituzionale nonché ai principi di cui alla Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali ("CEDU"), di cui l'Italia è parte.
Osserva il Collegio, che, alla luce delle motivazioni svolte, sarebbe illegittimo respingere la domanda sottoposta dalla ricorrente solo ed esclusivamente a motivo del suo orientamento sessuale, in aperto contrasto con la lettera e la ratio della norma, nonché con i principi costituzionali e i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU.
Nel caso di specie, non si può non tenere conto delle situazioni che sono da tempo esistenti e cristallizzate: la minore è nata e cresciuta con la madre e e la sua compagna, instaurando con loro un legame inscindibile che, a prescindere da qualsiasi "classificazione giuridica", nulla ha di diverso rispetto a un vero e proprio vincolo genitoriale. Negare alla bambina i diritti e i vantaggi che derivano da questo, rapporto costituirebbe certamente una scelta non corrispondente all'interesse della minore, che, come indicato dalla Corte Costituzionale stessa e dalla Corte Europea dei Diritto dell'Uomo, occorre sempre valutare in concreto.
Nella fattispecie, in esame, non si tratta, infatti, di concedere un diritto ex novo, creando una situazione prima inesistente, ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da anni, nell'esclusivo interesse di una bambina che, da sempre é stata allevata da due donne, che essa stessa riconosce come riferimenti affettivi primari, al punto tale da chiamare entrambe "mamma".
La sentenza in rassegna si inserisce in un filone giurisprudenziale che valorizza sempre di più l’interesse del minore e dà rilevanza a ai rapporti familiari di fatto instauratisi.
Si segnala, peraltro, che in una fattispecie analoga (in cui, però, la coppia omosessuale era legata da vincolo matrimoniale ed uno dei coniugi coniuge aveva ottenuto all’estero l’adozione della figlia dell’altro), il Tribunale per i Minorenni di Bologna ha ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge n. 184/1983 “nella parte in cui – come interpretati secondo Diritto vivente – non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponde all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia”.
Esito della domanda
Accoglimento.
Precedenti giurisprudenziali
Corte Cost., 27.11.1969, n. 145; Corte Cost., 18.7.1986, n. 198; Corte Cost., 3.7.2007, n. 348 e n. 349;
Corte Cost,. 3.11.2009, n. 317; Corte Cost., 15.4.2010, n. 138; Cass. Civ., n. 21651 del 19.10.2011;
Cass. Civ., n. 601 dell’11.1.2013; Trib. Min. Milano n. 626/2007; Corte App. Firenze n. 1274/2012.
Corte Europea Diritti dell’Uomo, Grande Camera, 19.2.2013, X e altri c. Austria, ric. n.. 19010/07.
Riferimenti normativi
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 8 e 14.
Artt. 3, 29, 30, 117 Cost.
Art. 44, lett. d) L. 4.5.1983, n. 184 (“Diritto del minore ad una famiglia”), come modificata dalla L. 28.3.2001, n. 149 (“Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile").
Art. 57 L. 4.5.1983, n. 184 (“Diritto del minore ad una famiglia”). 
Per approfondimenti:
·         Master sul nuovo diritto di famiglia, corso di 55 ore in aula, Altalex Formazione.
(Altalex, 9 febbraio 2016. Nota di Antonio Scalera tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer


Chiunque fosse interessatp al provvedimento del Tribunale per iMinorenni di Romae contatti lo Studio Legale La Farina