Studio

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Essere avvocato

Dire sono avvocato significa dire " ho dedicato la mia vita al diritto ", lo stesso diritto che ho visto calpestato ed umiliato dentro e fuori le aule giudiziarie. Il diritto che spesso è inteso come strumento di attuazione del potere. Questo concetto applicato al diritto di famiglia può far capire come in questi casi quanto sia squallido l'abuso di potere.
Piegato su me stesso, ma mai vinto, con umiltà e dedizione ho cercato di far si che il giusto , ossia l'applicazione della giustizia, corrispondesse all'equità.
Non è stato mai facile, ed anzi più passa il tempo, e più mi rendo conto che il mio sogno di ragazzo nel quale vedevo realizzarsi la giustizia intesa come equanimità, in effetti è solo un illusione, che si scontra con la natura umana, di per sé immutabile.
L'evoluzione della società si traduce in una effimera civiltà, perché, a ben riflettere, nulla è cambiato se non in peggio dall'attenta analisi di Blaise Pascal “È giusto che si segua ciò che è giusto; è necessario che si segua ciò che è più forte. La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica. La giustizia senza la forza è contraddetta, perchè ci sono sempre dei malvagi; la forza senza la giustizia è messa in accusa. Bisogna dunque unire la giustizia e la forza; e perciò bisogna far sì che ciò che è giusto sia forte e ciò che è forte sia giusto. La giustizia è soggetta a discussione, la forza è molto riconosciuta e indiscussa. Così non si è potuto dare la forza alla giustizia perchè la forza ha contraddetto la giustizia e ha affermato che solo lei era giusta. E così, non potendo ottenere che ciò che è giusto sia forte, si è fatto sì che ciò che è forte sia giusto"
Capirete perché mi sembra di stare su una barca che vacilla, continuando a remare controcorrente, spinto nella costante ricerca della verità, cercando di far si che il giusto corrisponda all'equo. Quando poi nel mio mandato mi imbatto nella difesa dei minori o disabili, se la mia etica si scontra con le esigenze del mio assistito, prevale su queste tanto da indurmi a rimettere il mandato, se non ascoltato .... detto questo aggiungo che è gradita la partecipazione a questo blog, che null'altro vuole essere che la porta di ingresso alla mia officina. Così chiamo il mio "studio" ossia non il luogo materiale dove lavoro, bensì il luogo dove la mia conoscenza del diritto è in costante evoluzione, perché attraverso il mio studio e la mia esperienza, si rinnova, si amplia e sia apre a nuove prospettive: questa è la mia "Officina del Diritto" spazio che vi offro attraverso la mia e-mail
studiolegalelafarina@libero.it . Le vostre indicazioni, critiche, scritti e comunque i vostri apporti saranno fedelmente riportati nella pagina della " Tavola Rotonda" pagina appositamente creata in questo blog per poterci confrontare

Quotidiano della Pubblica Ammimnistrazione

domenica 23 ottobre 2016


Vi allego una interessante pubblicazione curata da "Ediliza Urbanistica del 17/10/2016
La diversa distruzione degli ambienti interni di un appartamento è attività edilizia libera
Modificazione delle tramezzature interne, spostamento del servizio igienico ed eliminazione di un precedente ambiente
Segnaliamo la recente sent. 14 ottobre 2016 n. 4267 del Consiglio di Stato, in materia di attività edilizia libera.
I giudici hanno ricordato come la modificazione delle tramezzature interne, lo spostamento del servizio igienico e l’eliminazione di un precedente ambiente (avvenuto mediante demolizione di una preesistente tramezzatura) costituiscono opere interne all’unità abitativa e, come tali, opere di manutenzione straordinaria.
L’art. 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia) qualifica, alla lettera b), gli “interventi di manutenzione straordinaria” come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologiche, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche della destinazione d’uso”. Il successivo art. 6 riconduce nella “attività edilizia libera” gli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio.
Le opere che non interessano parti strutturali dell’edificio ma, unicamente, una diversa distribuzione degli ambienti interni dell’unità abitativa mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature (in tale ambito rientra anche lo spostamento del servizio igienico) possono certamente ricondursi alla categoria della “manutenzione straordinaria” e non anche della ristrutturazione edilizia.
In argomento di attività edilizia libera ricordiamo l'emanando decreto SCIA 2 (uno dei decreti della c.d. Riforma Madia, la cui bozza è approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 15 giugno e bollinata dalla Ragioneria Generale dello Stato l’8 luglio (n. prot. RGS 0054059/2016), il quale prevede una serie di modifiche al Testo Unico edilizia nella suddetta materia, con l’aumento delle ipotesi di attività edilizia eseguibili senza titolo abilitativo e la scomparsa della comunicazione inizio lavori (ad esempio, lo spostamento di pareti interne e la diversa distribuzione degli ambienti interni rimane attività di manutenzione straordinaria, subordinata alla presentazione di una comunicazione inizio lavori asseverata).

Condominio: avere un animale è un diritto Redazione www.peofessionisti,it


Condominio: avere un animale è un diritto

Tenere un animale domestico in un appartamento situato in un condominio è sempre un diritto? Scopriamo cosa prevede la legge anche alla luce di una recente sentenza in merito.

Cane in condominio? Sì grazie

La legittimità del tenere un animale domestico negli appartamenti, anche se situati in condominio, è spesso oggetto di discussione all'interno degli edifici e delle assemblee condominiali. Una legge piuttosto recente, promossa e sostenuta da diverse associazioni animaliste, ha fatto sì che tenere un animale domestico possa essere considerato un diritto della persona, che non si applica solo agli spazi di abitazione ma a tutto ciò che concerne la vita dell'individuo.
Nel caso specifico, oggetto di giudizio da parte del giudice di pace di Pordenone, un inquilino di un condominio era stato chiamato in causa dagli altri condomini per aver acquistato un cane di piccola taglia per la propria figlia, in contrasto con quanto previsto dal regolamento condominiale. Nonostante il cane non avesse arrecato alcun danno al condominio, l'assemblea condominiale ne aveva chiesto l'allontanamento, chiamando in giudizio il proprietario dell'animale dopo un tentativo di accordo non andato a buon fine.

No agli animali? Il regolamento condominiale è nullo

Nel caso specifico inoltre i condomini contrari all'animale citavano a loro favore il regolamento condominiale, che vietava esplicitamente la detenzione di animali domestici, a prescindere dalla taglia o dal tipo di animale. Secondo il giudice chiamato a pronunciarsi in merito però il regolamento condominiale non può essere considerato valido, in quanto la norma presente è del tutto contraria a quanto previsto da una legge in vigore e ne ha quindi dichiarato la nullità. In aggiunta è stato appurato che il cane in questione non aveva arrecato alcun danno al condominio, rendendo quindi ancora meno plausibile una richiesta di allontanamento.
Nella sentenza emessa dal giudice di pace i condomini sono stati condannati al pagamento delle speseprocessuali sostenute dalla famiglia del cane in questione. 
Anche se riguarda un caso specifico, la sentenza potrebbe essere di esempio anche per altri dibattimenti simili; ricordiamo quindi che non è possibile per un'assemblea condominiale o per il proprietario di un immobile, anche se concesso in affitto, vietare l'accesso agli animali domestici. Qualsiasi regolamento condominiale che contenga questa norma potrà quindi essere ritenuto non valido in sede di giudizio, in quanto contrastante con le leggi nazionali.
Il possessore dell'animale deve, come anche il buon senso suggerisce, quindi solo preoccuparsi che l'animale non arrechi alcun danno agli spazi comuni o pubblici.

lunedì 2 maggio 2016

Da "Il Quotidiano della Pubblica              Amministrazione"

Giustizia: addio ai Giudici di Pace arrivano i Gop

La riforma della magistratura onoraria è diventata legge. Le novità in sintesi.
Nella seduta odierna, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge, già approvato dal Senato, recante delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace (C. 3672), con conseguente assorbimento delle abbinate proposte di legge: Greco; Carrescia ed altri; Tartaglione ed altri (C.1338-1669-1696).
Sul sito del Ministero del Governo si evidenzia come, in tal modo, la riforma della magistratura onoraria oggi è diventata legge, "una tappa importantissima assolutamente sottovalutata rispetto alle dimensioni".
Quasi la metà dell'insieme dei processi passano di fronte alla magistratura onoraria e questo è avvenuto fino ad oggi attraverso un sistema che prorogava di anno in anno i magistrati onorari.
 
Oggi viene dato un riferimento temporale certo, più trasparenza al sistema, un percorso di qualificazione e di accesso che migliorerà la qualità dei magistrati onorari e anche una prospettiva di miglior tutela dal punto di vista previdenziale a questi magistrati che erano in una condizione di "superprecarietà". Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando commenta con soddisfazione l'approvazione in via definitiva, da parte della Camera, della delega al governo per "la riforma organica della magistratura onoraria".
 
Ecco, in sintesi, le principali novità.
 
Unificazione magistrati onorari. Cade la distinzione tra giudici di pace e giudici onorari di tribunale, ci sarà un’unica figura di giudice onorario, denominato "giudice onorario di pace" (gop), inserito in un solo ufficio giudiziario. I magistrati requirenti onorari confluiranno, invece, nelle procure della Repubblica in una specifica articolazione (ufficio dei vice procuratori onorari). Novità anche in merito all’accesso: per la nomina basterà la sola laurea in Giurisprudenza, ma stop all’ingresso di chi è già in pensione. Vengono poi ridefiniti il requisito dell’età (dai 27 ai 60 anni), i titoli preferenziali e il procedimento di nomina che ora spetterà alla sezione autonoma della magistratura onoraria (che va istituita) del Consiglio giudiziario.
 
Incarichi più brevi. La durata dell’incarico è stabilita in quattro anni, rinnovabile per una sola volta (per chi è già in servizio il limite massimo resta quello di quattro quadrienni). Lo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario per due mandati sarà titolo preferenziale nei concorsi per la pubblica amministrazione. Per i primi due anni i gop saranno impiegati presso l’ufficio del processo e nel corso dell’incarico avranno l’obbligo della formazione professionale. Si procede infine al riordino complessivo dei casi di incompatibilità (con una stretta sull’incompatibilità familiare) e all’individuazione degli illeciti disciplinari. Quanto all’indennità, sarà composta da una parte fissa e una variabile.
 
Riorganizzazione ufficio giudice di pace. L’ufficio del gop perde l’attuale autonomia funzionale e organizzativa, sarà infatti, il presidente del tribunale a coordinarlo provvedendo alla gestione del personale di magistratura e amministrativo. Il presidente del tribunale predisporrà tabelle di organizzazione dell’ufficio onorario e le cause saranno assegnate ai gop sulla base dei criteri stabiliti in sede tabellare.
 
Ampliamento competenzeAumentano le competenze dei giudici onorari. Sul fronte civile, al gop saranno attribuite le cause condominiali, i procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose in possesso di terzi (con l’obbligo però di seguire le direttive di un giudice togato) e i procedimenti meno complessi in materia di successioni e comunione. La competenza per valore viene estesa fino a 30mila euro e per gli incidenti stradali fino a 50mila euro. Il giudice di pace avrà poi la possibilità di decidere, secondo equità, tutte le cause di valore fino a 2.500 euro. Sul piano della competenza penale, saranno attribuite nuove fattispecie di reato quali minaccia (salvo vi siano aggravanti) e furto perseguibile a querela, abbandono di animali e contravvenzioni riguardanti animali o specie vegetali protette, commercio e vendita di fitofarmaci e rifiuto di fornire le generalità alle forze dell’ordine.
 
Giudici onorari nei collegi giudicanti. I giudici onorari dopo due anni di incarico, in casi eccezionali e contingenti e in presenza di specifici presupposti (scoperture di organico e), potranno essere componenti dei collegi giudicanti civili e penali. Sarà anche possibile, in ipotesi tassative, applicare i gop nella trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario, con l’eccezione però dei procedimenti cautelari e possessori in materia civile e nelle controversie di lavoro e previdenza e in campo penale delle funzioni di gip e gup e per qualsiasi procedimento che non consenta la citazione diretta.
 

sabato 5 marzo 2016

La Cassazione su estratto conto e 'usi piazza'

La Cassazione su estratto conto e 'usi piazza' a cura di Fabio Fiorucci 
Avvocato - Già componente della Commissione tecnica legale e della Commissione tecnica ordinamento finanziario presso l’ABI.
È consolidato orientamento della Cassazione che la mancata tempestiva contestazione, da parte del correntista, degli estratti conto inviati nel corso del rapporto, renda inoppugnabili gli addebiti e gli accrediti ivi contenuti solo sotto il profilo contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite del conto derivano (ex multis Cass. n. 20221/2015; Cass. n. 11626/2011; Cass. n. 3574/2011; Cass. n. 6514/2007; Cass. n. 10376/2006; Cass. n. 7662/2005; Cass. n. 10186/2001; Cass. n. 10129/2001).
Di conseguenza, la mancata contestazione non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia delle clausole contrattuali che giustificano i versamenti cui le annotazioni si riferiscono né dalla conseguente azione di ripetizione delle somme percepite dalla banca.
Anche la validità della clausola di rinvio ai cosidetti "usi di piazza", ai fini della determinazione dell’interesse debitore, è parimenti esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17.2.1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico bancario (d.lgs. 1.9.1993, n. 385), la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale.
Insomma, il riferimento al c.d. “uso piazza” è del tutto generico, non rispetta il requisito della determinabilità del contenuto del contratto in base ad altro specifico criterio ricavabile dal contratto stesso, e consente quindi l’applicazione di parametri mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza (Cass. n. 27118/2013; Cass. n. 17679/2009; Cass. n. 10127/2005; Cass. n. 17338/2002).


venerdì 4 marzo 2016

ADOZIONE DEL FIGLIO DEL PARTNER

Stepchild adoption: i giudici bruciano sul tempo il legislatore
Tribunale, Roma, sentenza 29/10/2015
Pubblicato il 25/02/2016 da "Il quotidiano Giuridico"
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L’adozione “in casi particolari” ex art. 44, comma 1 lett. d) l. 184/1983 può essere disposta a favore del convivente omosessuale del genitore dell’adottando, quando essa risponde al superiore interesse del minore e garantisce la copertura giuridica di una situazione già esistente da anni, che nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale.
Con ricorso al Tribunale per i Minorenni di Roma, ex art. 44, c. 1, lettera d) L. 184/83, come modificata dalla L. 149/2001, una donna riferiva di avere intrapreso, dal febbraio 2009, una relazione sentimentale omosessuale.
Fin dai primi anni, la ricorrente e la sua compagna avevano sentito il desiderio di avere un figlio.
Conseguentemente, nell'ottobre 2012, dopo aver maturato fino in fondo e responsabilmente la loro decisione, entrambe si erano recate in Belgio per sottoporsi alle pratiche di procreazione assistita; intanto, avevano deciso che a portare avanti la procreazione biologica sarebbe stata la più giovane delle due e, quindi, con maggiori possibilità di riuscita della inseminazione intrauterina.
La ricorrente aveva seguito lo stato di gravidanza della partner con affetto e dedizione, vivendo anche lei l'attesa con animo commosso e proteso all'evento.
Dopo la nascita, la ricorrente aveva instaurato con la minore un rapporto così significativo, da essere riconosciuta come mamma.
Ciò premesso, la ricorrente chiedeva, alla luce dei rapporti instaurati e consolidati con la minore, di poterla adottare.
Il Tribunale acquisiva una relazione del competente Servizio Sociale sulle condizioni di vita delle due donne, sul loro rapporto con la bambina, sulle figure familiari di supporto.
Il Collegio, inoltre, stante la non lunga durata del periodo di convivenza e la tenera età della minore, decideva di disporre una C.T.U. al fine di ulteriormente verificare la qualità delle relazioni familiari, il livello di funzionalità, le dinamiche e le risorse del nucleo nel suo complesso e gli eventuali interventi di sostegno finalizzati alla acquisizione e/o al potenziamento delle funzioni genitoriali.
Espletato l'esame peritale il procedimento veniva trasmesso al P.M.M. per il parere.
Il P.M.M. esprimeva, tuttavia, parere negativo all'accoglimento del ricorso, in mancanza del “”presupposto ineludibile della norma indicata, costituito da una situazione di abbandono” ed in mancanza della “nomina di curatore speciale al minore, ravvisandosi conflitto di interesse tra la madre della piccola e la figlia medesima".
Il Collegio ha accolto il ricorso.
L’adozione richiesta dalla ricorrente è disciplinata dal titolo IV della legge 4.5.1983 n. 184 (come modificata dalla legge 28.3.2001 n. 149) agli arti. 44 - 57.
Si tratta di un tipo di adozione in "casi particolari", che mira a realizzare l'interesse del minore ad una famiglia in quattro specifiche ipotesi, in cui legislatore ha voluto facilitare il procedimento di adozione, per un verso ampliando il novero dei soggetti legittimati a diventare genitori adottivi e, per altro verso, semplificando la procedura di adozione.
L'art. 44, L. n. 184/1983 prevede quanto segue:
“1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7:da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano, di padre e di madre;dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio, anche adottivo dell'altro coniuge;quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992,n. 104,esia orfano di padre, e di madre;d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.2. L'adozione, nei casi indicati nel comma l, è consentita anche in presenza di figli legittimi.3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del I comma l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”.
L'adozione "in casi particolari", disciplinata dal citato articolo, risponde all'intenzione del Legislatore di voler favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura del minore stesso, prevedendo la possibilità di un'adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante, ma con presupposti meno rigorosi. Viene data in tal modo rilevanza giuridica a tutte quelle situazioni in cui, pur essendo preminente la finalità di proteggere il minore, mancano le condizioni che consentono l'adozione con effetti, legittimanti di un soggetto minore di età.
La ratio legis trova una espressa manifestazione nell'art. 57, n. 2, laddove impone al tribunale di verificare se l'adozione ex art. 44 L. 184/83 "realizza il preminente interesse del minore".
Nella fattispecie in esame, prevista dalla lettera d) del comma 1 del citato articolo, il minore può essere adottato, anche quando non ricorrono le condizioni per l'adozione legittimante, quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
La giurisprudenza di merito ha dato di questo articolo un'interpretazione più ampia, riconoscendo che l'impossibilità di affidamento preadottivo può essere unaimpossibilità non solo di fatto, che consente di realizzare l'interesse preminente di minori in stato di abbandono ma non collocabili in affidamento preadottivo, bensì anche una impossibilità di diritto, che permette di tutelare l'interesse di minori (anche non in stato di abbandono), attraverso il riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più compiuti e completi.
Nel caso di specie non si ravvisa alcun conflitto d'interessi tra la figlia e la madre; quest’ultima risulta l'unica rappresentante legale della minore in grado di esprimere il suo consenso cosi come previsto dall'art. 46 della legge che regola le adozioni in casi particolari.
In conclusione, il Collegio ritiene che l'art. 44, comma 1, lett. d) consente alla ricorrente di adottare la minore purché, in fatto, l'adozione risponda al preminente interesse della minore medesima.
Né può ostare all'adozione della minore da parte della ricorrente la circostanza che la madre non è, ai sensi dell'ordinamento italiano, coniugata con la ricorrente.
Invero, un rapporto di coniugio tra il genitore dell'adottando e l’adottante è previsto solo dall'art. 44, c. 1, lett. b), e non anche dall'art. 44, c. 1, lett. d), che trova applicazione nella fattispecie de qua.
Peraltro, il criterio dell'imitatio naturae, in virtù del quale l'adozione dovrebbe rispecchiare il modello dominante della famiglia tradizionale unita dal vincolo del matrimonio, aveva già subito un ridimensionamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 145/1969 dove veniva precisato che, con riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., queste disposizioni "non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae", esprimendo, invero, una mera indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, sulla scorta dell'esigenza di garantire al minore la stabilità necessaria sotto il profilo educativo ed affettivo.
Ne consegue che, ad avviso del Collegio, l'adozione ex art. 44, comma 1, lett. d) può essere disposta a favore del convivente del genitore dell'adottando, ricorrendone gli altri presupposti di legge.
La conclusione raggiunta non può non applicarsi, ad avviso del Collegio, anche a conviventi del medesimo sesso.
Ciò, in primo luogo, alla luce dell' inequivoco dato letterale di cui all'art. 44, comma 1, lett. d). Tale norma non discrimina tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Una lettura in senso diverso sarebbe, peraltro, contraria alla ratio legis, al dato costituzionale nonché ai principi di cui alla Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali ("CEDU"), di cui l'Italia è parte.
Osserva il Collegio, che, alla luce delle motivazioni svolte, sarebbe illegittimo respingere la domanda sottoposta dalla ricorrente solo ed esclusivamente a motivo del suo orientamento sessuale, in aperto contrasto con la lettera e la ratio della norma, nonché con i principi costituzionali e i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU.
Nel caso di specie, non si può non tenere conto delle situazioni che sono da tempo esistenti e cristallizzate: la minore è nata e cresciuta con la madre e e la sua compagna, instaurando con loro un legame inscindibile che, a prescindere da qualsiasi "classificazione giuridica", nulla ha di diverso rispetto a un vero e proprio vincolo genitoriale. Negare alla bambina i diritti e i vantaggi che derivano da questo, rapporto costituirebbe certamente una scelta non corrispondente all'interesse della minore, che, come indicato dalla Corte Costituzionale stessa e dalla Corte Europea dei Diritto dell'Uomo, occorre sempre valutare in concreto.
Nella fattispecie, in esame, non si tratta, infatti, di concedere un diritto ex novo, creando una situazione prima inesistente, ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da anni, nell'esclusivo interesse di una bambina che, da sempre é stata allevata da due donne, che essa stessa riconosce come riferimenti affettivi primari, al punto tale da chiamare entrambe "mamma".
La sentenza in rassegna si inserisce in un filone giurisprudenziale che valorizza sempre di più l’interesse del minore e dà rilevanza a ai rapporti familiari di fatto instauratisi.
Si segnala, peraltro, che in una fattispecie analoga (in cui, però, la coppia omosessuale era legata da vincolo matrimoniale ed uno dei coniugi coniuge aveva ottenuto all’estero l’adozione della figlia dell’altro), il Tribunale per i Minorenni di Bologna ha ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge n. 184/1983 “nella parte in cui – come interpretati secondo Diritto vivente – non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponde all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia”.
Esito della domanda
Accoglimento.
Precedenti giurisprudenziali
Corte Cost., 27.11.1969, n. 145; Corte Cost., 18.7.1986, n. 198; Corte Cost., 3.7.2007, n. 348 e n. 349;
Corte Cost,. 3.11.2009, n. 317; Corte Cost., 15.4.2010, n. 138; Cass. Civ., n. 21651 del 19.10.2011;
Cass. Civ., n. 601 dell’11.1.2013; Trib. Min. Milano n. 626/2007; Corte App. Firenze n. 1274/2012.
Corte Europea Diritti dell’Uomo, Grande Camera, 19.2.2013, X e altri c. Austria, ric. n.. 19010/07.
Riferimenti normativi
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 8 e 14.
Artt. 3, 29, 30, 117 Cost.
Art. 44, lett. d) L. 4.5.1983, n. 184 (“Diritto del minore ad una famiglia”), come modificata dalla L. 28.3.2001, n. 149 (“Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile").
Art. 57 L. 4.5.1983, n. 184 (“Diritto del minore ad una famiglia”). 
Per approfondimenti:
·         Master sul nuovo diritto di famiglia, corso di 55 ore in aula, Altalex Formazione.
(Altalex, 9 febbraio 2016. Nota di Antonio Scalera tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer


Chiunque fosse interessatp al provvedimento del Tribunale per iMinorenni di Romae contatti lo Studio Legale La Farina


sabato 23 gennaio 2016

Focus sui rapporti economici in caso di separazione e divorzio Fonte: Focus sui rapporti economici in caso di separazione e divorzio

divorzio lite litigano
 Riporto l'articolo dell'avv. Paolo Accoti.  
A seguito di una separazione o di un divorzio, come spesso accade, i rapporti tra gli ex coniugi non risultano certo idilliaci ed uno dei principali motivi di contrasto riguarda la definizione degli aspetti economici.
Tanto è vero che il contenzioso in materia è estremamente corposo e spazia dall'assegnazione della casa coniugale, all'assegno di mantenimento, fino a sfociare in problematiche di carattere penale.
La Suprema Corte di Cassazione, con tre recentissime sentenze, ha affrontato proprio questi aspetti.
Interessante il caso sottoposto all'attenzione della IV sezione civile della Corte di Cassazione, risolto con l'ordinanza n. 225, dell'11.01.2016, in materia di onere della prova in relazione ai redditi percepiti dai coniugi.
La questione atteneva a due ex coniugi - uno dei quali aveva iniziato una nuova stabile convivenza - a cui il giudice di primo grado aveva chiesto conto in merito all'effettiva consistenza patrimoniale, anche con la produzione degli estratti conto bancari, al fine di eventualmente prevedere e determinare l'assegno di mantenimento in favore del coniuge meno abbiente.
Sta di fatto che proprio il coniuge che nel frattempo si era creato una nuova famiglia, non ottemperava all'ordine del giudice, così impedendo all'altro coniuge che - nel frattempo aveva diligentemente prodotto tutta la documentazione richiesta - di poter compiutamente approntare e calibrare le proprie difese, anche in virtù dell'esatta conoscenza del patrimonio dell'ex coniuge.
La Suprema Corte, oltre a ricordare il proprio precedente per cui: "L'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo", circostanza che escluderebbe alla radice qualsivoglia obbligo di mantenimento a carico dell'altro coniuge, evidenzia come in caso di mancato ottemperamento ad un ordine del giudice, tale comportamento risulta foriero di determinate conseguenze.
Ed invero, sottolinea la Corte, errata si appalesa la mancata valutazione in merito alla mancata reciproca "discovery" delle risultanze probatorie, alla luce della circostanza per la quale solo uno dei coniugi onerati aveva ottemperato ad una richiesta giudiziale senza dubbio rivolta ad entrambe le parti in causa.
Tanto è vero, sottolinea la Suprema Corte, che: "pur avendo il giudice, al riguardo, poteri discrezionali, va ricordato che l'inosservanza dell'ordine di esibizione di documenti integra un comportamento dal quale il giudice può desumere argomenti di prova a norma dell'art. 116, comma secondo, cod. proc. civ. … quando la richiesta è di tipo simmetrico e rivolta ad entrambe le parti, un tale comportamento risulta neutro ove le medesime abbiano osservato lo stesso contegno (positivo o negativo) ma non quando una abbia lealmente eseguito la richiesta e l'altra no".
Ciò posto, ferma restando la discrezionalità del giudicante, lo stesso, tuttavia, qualora decida di utilizzare la documentazione fornita "lealmente" dalla parte diligente, deve anche rigorosamente motivare come intenda valutare il comportamento della parte che non ha adempiuto al suo ordine ("comportamento negativo"), pena il difetto di motivazione.
Conclude pertanto la Corte enunciando il seguente principio: "In tema di prova in ordine alla capacità reddito-patrimoniale dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio, ove il giudice abbia chiesto ad entrambe le parti l'esibizione della documentazione relativa ai rapporti bancari da ciascuna intrattenuti, ed una sola di essi abbia ottemperato alla richiesta fornendo materia per gli accertamenti giudiziali, il giudice che di essi abbia fatto uso ha l'obbligo di motivare in ordine al significato del comportamento omissivo della parte inottemperante, costituendo l'asimmetria comportamentale ed informativa un comportamento da cui desumersi argomenti di prova a norma dell'art. 116, comma secondo, cod. proc. civ." (Cass. civ., Sez. IV, 11.01.2016, n. 225).
Entrando nel merito della congruità dell'assegno di mantenimento e della sua determinazione, risulta pacifico che ciò debba essere valutato sulla scorta della consistenza patrimoniale di entrambi i coniugi, nella quale rientra a pieno titolo anche l'eventuale patrimonio immobiliare.
Tuttavia, una cosa è la proprietà di una abitazione, un'altra è la mera disponibilità di un appartamento, sia essa dovuta a titolo di amicizia, cortesia ovvero in virtù di una occupazione di fatto.
Tanto ha stabilito la Corte di CassazioneVI sezione civile, con l'ordinanza n. 223, dell'11.01.2016.
A seguito della sentenza di primo grado di scioglimento degli effetti civili del matrimonio concordatario e la previsione dell'obbligo, a carico di uno dei due coniugi, di versare in favore di quello meno abbiente un assegno di mantenimento, dopo il rigetto dell'appello, il coniuge gravato dell'obbligo di versamento dell'assegno divorzile proponeva ricorso per cassazione, in virtù della presunta mancata verifica delle condizioni patrimoniali del coniuge beneficiario.
In particolare, il coniuge ricorrente eccepiva che il giudice di secondo grado, al pari di quello del primo, non avrebbe tenuto conto della circostanza relativa alla disponibilità di un appartamento in capo all'altro coniuge, circostanza che, a suo dire, avrebbe comportato una diversa quantificazione, al ribasso, dell'assegno di mantenimento di cui era stato onerato.
Di contrario avviso la Suprema Corte, la quale, dopo aver premesso che il dedotto motivo di appello comporta, essenzialmente, un non consentito riesame delle risultanze processuali sotto forma di una diversa valutazione delle stesse, richiesta inammissibile in sede di giudizio di legittimità, tuttavia, non disdegna di entrare nel merito e respingere il ricorso anche sotto tale aspetto.
Riferisce il Collegio come: "nell'impianto motivazionale della decisione impugnata, non risulta trascuratezza decisiva la presunta occupazione di fatto di un immobile da parte intimata, atteso che una tale situazione – ove anche esistente e, quindi, in ipotesi, pienamente provata – va considerata precaria e come tale facilmente risolubile da parte dell'avente diritto con gli ordinari strumenti volti a recuperarne il possesso o la detenzione".
A tal proposito, infatti, la misura dell'assegno in favore del coniuge più debole, non può tener conto di circostanze precarie, che per loro natura possono venir meno in tempi anche brevi.
Peraltro, riferisce la Corte, anche il sopraggiungere di nuove relazione e filiazioni del coniuge obbligato, non possono comportare diminuzione del dovere di contribuzione posto a suo carico.
Con ciò conclude la Corte, con riferimento all'occupazione di fatto di un immobile da parte dell'ex moglie: "la valutazione di una tale utilità fuoriesce dall'ambito valutativo proprio dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi, rimanendo la difficoltà di liberazione dell'immobile da parte del proprietario un dato di fatto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali" (Cass. civ., VI Sez., 11.01.2016, n. 223).
Ancora di recente la Suprema Corte, si è occupata anche dal punto di vista penalistico di una questione abbastanza frequente, vale a dire la violazione dell'obbligo del versamento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge beneficiario.
La legge 1 dicembre 1970, n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, e prevede che il tribunale stabilisca a carico del coniuge non affidatario, tra l'altro, la modalità e la misura di contribuzione al mantenimento dei figli, con la corresponsione di assegno di mantenimento, nonché il criterio di adeguamento automatico dello stesso (art. 5).
Inoltre, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in virtù delle condizioni patrimoniali dei coniugi, nonché delle ragioni della decisione, può disporre l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente, a favore dell'altro, un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive, indicando il criterio di adeguamento automatico del predetto assegno, che deve essere almeno parametrato agli indici di svalutazione monetari (art. 6).
L'art. 12-sexies della predetta legge, dispone quindi che: "Al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'art. 570 del codice penale".
Vale a dire la reclusione fino a un anno o la multa da Euro 103,00 a Euro 1.032,00 (art. 570 c.p.).
La Corte di CassazioneVI sezione penale, con la sentenza n. 525, dell'8.01.2016, chiarisce quando ricorrono i presupposti per l'applicabilità dell'art. 12-sexies della L. 898/1970 ovvero quelli per l'applicabilità dell'art. 570 c.p., che prevede e punisce la diversa fattispecie relativa alla violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Ed invero, chiarisce la Corte: "ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui all'art. 12-sexies L. n. 898/1970 è sufficiente dimostrare la volontaria sottrazione all'obbligo di corresponsione dell'assegno determinato dal tribunale", di contro, ai fini della sussistenza del reato previsto dall'art. 570 c.p., è necessario che: "all'inadempimento consegua anche il far mancare i mezzi di sussistenza".
In altri termini, ferma restando la mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento, il discrimine tra i due reati è pertanto dato: 1) dallo stato di bisogno dei familiari beneficiari dell'assegno; 2) la consapevolezza dell'obbligato in merito alla necessità dei propri congiunti; 3) la sua effettiva capacità di fornire i mezzi di sostentamento.
Tanto è vero che: "il reato previsto dall'art. 570, secondo comma n. 2, cod. pen. ha come presupposto necessario l'esistenza di un'obbligazione alimentare ai sensi del codice civile, ma non assume carattere meramente sanzionatorio del provvedimento del giudice civile nel senso che l'inosservanza anche parziale di questo importi automaticamente l'insorgere del reato, di tal che, per configurare l'ipotesi delittuosa in esame, occorre che gli aventi diritto all'assegno alimentare versino in stato di bisogno, che l'obbligato ne sia a conoscenza e che lo stesso sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza" (Cass. pen, Sez. VI, 8.01.2016, n. 525).
Con l'anzidetta sentenza, la Corte ricorda il proprio precedente per cui: "ai fini della configurabilità del reato previsto è punito dall'art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., nell'ipotesi di corresponsione parziale dell'assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell'inadempimento dell'obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (Sez. 6, n. 159898 del 04/02/2014 – dep. 09/04/2014, S. Rv. 259895)".
Ciò posto, affinché possa ritenersi configurato il reato di cui all'art. 12-sexies L. 898/1970, risulta sufficiente il mero inadempimento dell'obbligo di mantenimento imposto dal giudice, mentre per la configurabilità del diverso reato diviolazione degli obblighi di assistenza familiareex art. 570 c.p., occorre che il giudice accerti ed evidenzi la mancanza dei mezzi di sussistenza, in considerazione delle effettive disponibilità economiche e al tenore di vita del soggetto obbligato, in relazione all'osservanza del "minimo vitale" e alle altre esigenze di vita giornaliera del beneficiario.
Cass. civ., 11.01.2016, n. 225 
Cass. civ., 11.01.2016, n. 223 
Cass. pen., 08.01.2016, n. 525 

Fonte: Focus sui rapporti economici in caso di separazione e divorzio 
(www.StudioCataldi.it)